lunedì, gennaio 25, 2010

La musica e l'arte del commerciare.

http://www.youtube.com/watch?v=c-nuQBe3g7k


Questi due video sono solo uno spunto, un incipit ad un discorso ampio e complesso che spero di riuscire ad affrontare nelle sue varie sfaccettature, un post dopo l'altro. Invito te che leggi le mie parole a guardarli, ti occuperà circa 10 minuti; e ne vale la pena.
Ora, sorvolando sulla mordacità dei commenti (qualità apprezzabile, comunque) e concentrando l'attenzione sul senso di quello che viene mostrato, vorrei provare ad affrontare il tema della mi(s)tificazione musicale a scopo commerciale. E' un processo che ha radici ormai più che trentennali, da quando cioè le case discografiche iniziarono a mettere il becco su questioni artistiche, per aumentare i propri introiti, limitando la libertà creativa fino a quel momento lasciata agli artisti sotto contratto.


Giovanni Allevi rappresenta un eccellente esempio di questo processo, essendo un personaggio totalmente creato a tavolino: anche se tutti i suoi titoli di studio sono reali (diploma in pianoforte e in composizione, laurea in filosofia), un pezzo di carta non fa certamente di lui un genio; credo che ognuno di noi abbia tra le proprie conoscenze qualche laureato incapace. Agli accattivanti titoli di studio, aggiungiamo il fatto che ad inizio carriera collaborò con Jovanotti e Saturnino; un'eccellente spinta in avanti nel clientelare mondo musicale italiano.
Quindi, come dovrebbe essere andata? Un discografico, probabilmente su segnalazione del signor Cherubini, ascolta qualche brano di questo pianista sconosciuto. Subito si rende conto del potenziale enorme di quelle insulse, orecchiabili melodie; ma il vero colpo di fulmine arriva al momento di incontrare Allevi: quest'uomo magro e leggermente balbuziente, con un'irresistibile aria da falso timido e falso umile. L'ideale per far breccia nel cuore di un pubblico sensibilissimo ai bombardamenti pubblicitari. Se puoi rendergli simpatico un antipatico, fargli amare un insignificante è semplicissimo.

Detto, fatto.


Eppure, le persone non sono stupide: sono abbastanza convinto che cinquant'anni fa Giovanni Allevi sarebbe rimasto quel signor Nessuno che meriterebbe di essere. Il pubblico non può essere diventato stupido nel giro di un paio di generazioni; è una storia che puzza.
Sembrerà anche la solita teoria visionaria sul complottismo, ma il marketing ha il potere di influenzare le masse, di cambiare i loro gusti e preferenze. Quando puoi convincere una persona a comprare una cosa o ad apprezzarla, senza che venga compiuto un passo razionale dal cervello, la hai in tuo potere.
Questo, fanno. Ti plagiano, facendoti ascoltare dieci, quindici volte al giorno la stessa canzone alla radio, mostrandoti la stessa faccia in televisione due volte al giorno per tre o quattro mesi; finché uno si abitua a vederla e pensa che se continuano a tenerla in vista sia anche per merito suo e della sua bravura.
A questo punto, l'artista diventa un intoccabile: i suoi fan - se di fan si può parlare - lo difenderanno a spada tratta, senza nessun tipo di argomentazione razionale; si rifiuteranno di ascoltare qualsiasi critica, ritenendola figlia dell'invidia.

La lista di cantanti e gruppi musicali portati avanti esclusivamente in questo modo è lunga: Gigi d'Alessio, Finley, Sonohra, il Vasco Rossi degli ultimi 10-15 anni, Luciano Ligabue, Jovanotti, Laura Pausini, Madonna, Nirvana, Guns 'n' Roses, giusto per citare qualcuno e per far notare che i tentacoli delle case discografiche arrivano a catturare qualsiasi genere musicale, o quasi.


Non si può nemmeno più parlare di panem et circenses: non si dà più alla gente quello che vuole, ma si fa volere alla gente quello che è catalogabile e, quindi, facilmente riproducibile in gran quantità. Purtroppo, il fenomeno dell'etichettare generi musicali si è spinto ovunque, anche nelle frange più sperimentali ed intransigenti. Ci sono così tante etichette che ormai non servono più a niente, soprattutto per i modi assurdi in cui vengono combinate: hard pop, melodic grindcore, giusto per nominare alcune delle più insensate.
L'etichetta è lo strumento con cui ti obbligano ad apprezzare un genere musicale.
Sfugge a questa logica solo il musicista che crea canzoni non catalogabili: per esempio, componendo un disco con dieci canzoni appartenenti a dieci generi diversi; oppure, mettendo dieci generi musicali all'interno dello stesso brano musicale. In questo modo, dovrebbero assegnare così tante etichette che non ne riceverà nessuna; e sfuggirà alla logica del mercato, resterà libero di proporre solo ciò che la sua testa gli dice.



(Un ringraziamento all'autore dei due video, liszt80, che hanno contribuito ad ispirare questo post e quelli che verranno scritti su questo argomento.)

Nessun commento:

Posta un commento